RADICI
Pubblicato il 14 luglio 2020
Pubblicato il 14 luglio 2020
Nasco a Malles Venosta “Mals” in lingua tedesca, un paesino in Alto Adige appena sotto il lago Resia, sì, quel lago famoso per avere un campanile del 1200 che emerge dalle acque, resti di quello che era il vecchio abitato di Curon Venosta prima che vi costruissero il lago e costringessero gli abitanti ad andarsene.
Il 9 ottobre 1963, sono dai nonni in un paesino poco più a monte di Longarone, per molti questa data traccia un confine netto tra il prima e il dopo, tra ciò che era è ciò che è.
Per capire il Vajont è necessario ricordare chi eravamo come popolo e da dove venivamo, o meglio, da dove uscivamo, l’Italia del dopo guerra è profondamente devastata sia strutturalmente, strade, ponti, case, industrie da costruire come anche emotivamente, profonde ferite segnano l’anima di un popolo che prova a rialzarsi da una guerra. Un rimettersi in piedi tuttavia trasformato profondamente, il vecchio paradigma di una società fondamentalmente contadina non regge più, la “modernità” dei tempi è energivora, richiede energia, per le industrie, per produrre frigoriferi, televisioni, automobili, beni di consumo in generale, questo è lo spirito del tempo, è in questo contesto che bisogna collocare l’idea e la realizzazione poi del progetto, grande Vajont.
A Longarone quel confine netto, quella separazione di un prima e di un dopo lo si può leggere nel suo assetto urbano nei suoi edifici, in quello che si è salvato dalla furia devastatrice di quella notte e in quanto invece è stato ricostruito, le due cose insieme, congiuntamente, per nostra memoria.
Il 9 ottobre 1963, sono dai nonni in un paesino poco più a monte di Longarone, per molti questa data traccia un confine netto tra il prima e il dopo, tra ciò che era è ciò che è.
Per capire il Vajont è necessario ricordare chi eravamo come popolo e da dove venivamo, o meglio, da dove uscivamo, l’Italia del dopo guerra è profondamente devastata sia strutturalmente, strade, ponti, case, industrie da costruire come anche emotivamente, profonde ferite segnano l’anima di un popolo che prova a rialzarsi da una guerra. Un rimettersi in piedi tuttavia trasformato profondamente, il vecchio paradigma di una società fondamentalmente contadina non regge più, la “modernità” dei tempi è energivora, richiede energia, per le industrie, per produrre frigoriferi, televisioni, automobili, beni di consumo in generale, questo è lo spirito del tempo, è in questo contesto che bisogna collocare l’idea e la realizzazione poi del progetto, grande Vajont.
A Longarone quel confine netto, quella separazione di un prima e di un dopo lo si può leggere nel suo assetto urbano nei suoi edifici, in quello che si è salvato dalla furia devastatrice di quella notte e in quanto invece è stato ricostruito, le due cose insieme, congiuntamente, per nostra memoria.
Foto 1: Il municipio “Palazzo Mazzolà” esteticamente raffinato lascia perfettamente immaginare come fosse Longarone e come dovessero essere le varie ville nobiliari quale villa Cappellari, villa Malcom e villa Protti, storicamente quindi un ricco centro di commerci, fondamentalmente legname che transitava tramite la Piave dal Cadore diretto a Venezia e sede inoltre di numerose industrie legate al legname come segherie e un importante cartonificio, Longarone inoltre era ed è la città del gelato.
Foto 2: Il campanile della chiesa di San Tomaso del 1500 in Pirago miracolosamente scampato al Vajont
Foto 3: Come era la chiesa di San Tomaso
Foto 4: Un presagio - Affresco della chiesa di San Tomaso attribuito a Girolamo Moech
Fpto 5: Longarone e la valle della Piave anni '50
Foto 2: Il campanile della chiesa di San Tomaso del 1500 in Pirago miracolosamente scampato al Vajont
Foto 3: Come era la chiesa di San Tomaso
Foto 4: Un presagio - Affresco della chiesa di San Tomaso attribuito a Girolamo Moech
Fpto 5: Longarone e la valle della Piave anni '50
Longarone è il Brutalismo
Il Brutalismo come corrente architettonica nasce verso la metà degli anni ’50 del secolo scorso nel Regno Unito il termine deriva dal béton brut utilizzato da Le Corbusier “ cemento grezzo” presente in un suo libro del 1923.
Caratterizzato dall’utilizzo del cemento grezzo, a vista, nudo, le superfici non vengono levigate o nascoste ma sono esposte così come fuoriescono dalle casseforme in cui il cemento indurisce.
È adatto alla realizzazione di edifici di grandi proporzioni, i moduli architettonici vengono ripetuti ed è poco costoso, caratteristica questa che nel dopoguerra lo rende certamente attraente in un’Europa da ricostruire, quindi adatto anche alla ricostruzione di una Longarone devastata, il fatto di essere poco costoso o meglio economico gli conferisce inoltre un carattere etico.
Il Brutalismo come corrente architettonica nasce verso la metà degli anni ’50 del secolo scorso nel Regno Unito il termine deriva dal béton brut utilizzato da Le Corbusier “ cemento grezzo” presente in un suo libro del 1923.
Caratterizzato dall’utilizzo del cemento grezzo, a vista, nudo, le superfici non vengono levigate o nascoste ma sono esposte così come fuoriescono dalle casseforme in cui il cemento indurisce.
È adatto alla realizzazione di edifici di grandi proporzioni, i moduli architettonici vengono ripetuti ed è poco costoso, caratteristica questa che nel dopoguerra lo rende certamente attraente in un’Europa da ricostruire, quindi adatto anche alla ricostruzione di una Longarone devastata, il fatto di essere poco costoso o meglio economico gli conferisce inoltre un carattere etico.
La grigia rude poesia del Brutalismo
Sulla pelle viva è il titolo di un libro della giornalista e scrittrice Tina Merlin che ripercorre le tappe del caso Vajont, l’architettura di Longarone rispecchia spesso quel carattere di rudezza e di nudità quasi a darsi un’altra pelle per lenire il dolore di quella strappata dal vento, che prima dell’acqua ha cancellato Longarone con una forza calcolata in un megatone, ovvero la forza della prima bomba atomica.
Ho individuato tre ordini di architettura Brutalista in Longarone il quale viene ricostruito proprio nel periodo d’oro della corrente, ovvero gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.
• L’aspetto urbano i moduli abitativi, la scuola elementare e la grande costruzione nei pressi della stazione, che ha la funzione di ospitare un albergo, le poste, diversi appartamenti e una serie di negozi.
• La chiesa di Santa Maria Immacolata dell’architetto Giovanni Michelucci
• Naturalmente la Diga con la quale sia l’abitato che la chiesa sono in intima relazione.
I moduli abitativi e il primissimo tentativo di ricostruzione della comunità, situati verso la parte alta di Longarone.
Le scuole elementari Bambini del Vajont
La grande unità abitativa e di aggregazione sociale, arredi e servizi urbani
La Chiesa di Santa Maria Immacolata dell'archietto Giovanni Michelucci già autore della Chiesa dell’autostrada. Presenta tre livelli, quello semi ipogeo dove sono custoditi i resti della vecchia chiesa, ciò che è stato ritrovato e da due anfiteatri quello intermedio la chiesa vera e propria e quello superiore all’aperto dove si erge il campanile. Il richiamo all’Inferno, al Purgatorio e al Paradiso è abbastanza evidente. È stata consacrata nel 1983 a venti anni esatti dal disastro del Vajont.
La diga. Come era al 16 marzo 1962 - La forra del Vajont con Longarone sullo sfondo - Come è oggi
Da notare la mancanza della strada che coronava la diga stessa.
Da notare la mancanza della strada che coronava la diga stessa.
Tra Faè e Longarone poco prima dell’inizio della zona industriale vi è una sequoia alta circa 40 metri, poco conosciuta anche dagli abitanti del luogo in quanto si trova in una proprietà privata, precisamente quella della famiglia Protti, fu messa a dimora verso la metà del secolo XIX esattamente nel periodo in cui in Europa si iniziavano a reintrodurre le sequoie, specie autoctona del Nord America e scomparse in Europa dopo l’ultima glaciazione.
Questo albero presente nel registro degli alberi monumentali del Veneto è sopravvissuto al Vajont, anche se scortecciato e ferito profondamente, “la ferita in foto” oggi è tra noi, raccontandoci una storia di resistenza e resilienza,
Nella proprietà Protti vi è anche una piccola costruzione utilizzata per trascorrere momenti di meditazione la quale è anche lei rimasta miracolosamente intatta, oggi potrebbe essere un posto ideale da dove osservare gli Aironi cenerini che nidificano nel vicino laghetto.
P.S. mi scuso per la qualità delle immagini, tuttavia entrare nella proprietà non è semplice e quando mi è stato concesso la luce non era delle più favorevoli.
Questo albero presente nel registro degli alberi monumentali del Veneto è sopravvissuto al Vajont, anche se scortecciato e ferito profondamente, “la ferita in foto” oggi è tra noi, raccontandoci una storia di resistenza e resilienza,
Nella proprietà Protti vi è anche una piccola costruzione utilizzata per trascorrere momenti di meditazione la quale è anche lei rimasta miracolosamente intatta, oggi potrebbe essere un posto ideale da dove osservare gli Aironi cenerini che nidificano nel vicino laghetto.
P.S. mi scuso per la qualità delle immagini, tuttavia entrare nella proprietà non è semplice e quando mi è stato concesso la luce non era delle più favorevoli.
Un fiume in piena
Natura Madre, Natura Matrigna
Nelle mie passegiate lungo il greto della Piave a quasi due anni da Vaia questo è quanto si può vedere, alberi strappati dal vento, sradicati, portati via dall'acqua, alberi che con la loro resistenza-resilienza sono riusciti a restare in piedi, tanto, tanto legname da recuperare, manufatti in cemento divelti. Mi dicono gli abitanti del luogo, che la Piave era gonfia come nell'alluvione del 1966, ma il vento no, quello non era mai stato così violento. Sfortunatamente c'è ancora chi si ostina a negare la questione del clima.
Dovremmo seriamente interrogarci su come contrastare il cambiamento climatico, impegnarci in una transizione dove inevitabilmente privilegi, posizioni dominanti, interessi di parte hanno la necessità di essere ammorbiditi, abbiamo bisogno di tenderci gentilmente una mano, di accogliere il diverso da noi integrandolo in qualcosa di sostenibile, di Terra ne abbiamo una sola ed è interesse comune farlo!
"La natura non è buona, ma non è neanche il nemico. Il nemico vero dell’uomo, è l’uomo stesso."
Natura Madre, Natura Matrigna
Nelle mie passegiate lungo il greto della Piave a quasi due anni da Vaia questo è quanto si può vedere, alberi strappati dal vento, sradicati, portati via dall'acqua, alberi che con la loro resistenza-resilienza sono riusciti a restare in piedi, tanto, tanto legname da recuperare, manufatti in cemento divelti. Mi dicono gli abitanti del luogo, che la Piave era gonfia come nell'alluvione del 1966, ma il vento no, quello non era mai stato così violento. Sfortunatamente c'è ancora chi si ostina a negare la questione del clima.
Dovremmo seriamente interrogarci su come contrastare il cambiamento climatico, impegnarci in una transizione dove inevitabilmente privilegi, posizioni dominanti, interessi di parte hanno la necessità di essere ammorbiditi, abbiamo bisogno di tenderci gentilmente una mano, di accogliere il diverso da noi integrandolo in qualcosa di sostenibile, di Terra ne abbiamo una sola ed è interesse comune farlo!
"La natura non è buona, ma non è neanche il nemico. Il nemico vero dell’uomo, è l’uomo stesso."
Note alla postfazione:
0 - 1 - 1 - 2 - 3 - 5 - 8 - 13 - 21 - 34 - 55
0 Mimosa rossa - 1 Giglio del nilo - 1 Spathiphyllum - 2 Euphorbia - 3 Bouganvillea - 5 Parnassia -
8 Cosmos - 13 Euryops - 21 Leucanthemum - 34 Girasole - 55 Margherita dei muri
Lascio un link:
I girasoli a cui facevo riferimento sono quelli del fotografo Paul Caponigro.
Lascio un link:
Questo lavoro come altri miei è composto di 55 fotografie come la margherita dei muri.
Per ricordarmi di iniziare il mondo con un m’ama !
0 - 1 - 1 - 2 - 3 - 5 - 8 - 13 - 21 - 34 - 55
0 Mimosa rossa - 1 Giglio del nilo - 1 Spathiphyllum - 2 Euphorbia - 3 Bouganvillea - 5 Parnassia -
8 Cosmos - 13 Euryops - 21 Leucanthemum - 34 Girasole - 55 Margherita dei muri
Lascio un link:
I girasoli a cui facevo riferimento sono quelli del fotografo Paul Caponigro.
Lascio un link:
Questo lavoro come altri miei è composto di 55 fotografie come la margherita dei muri.
Per ricordarmi di iniziare il mondo con un m’ama !